I limiti della Esterovestizione nella Residenza Fiscale tra la LLC (USA) e la S.r.l. (ITA) – (Breve Studio) –

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14/11/2024

Abstrac in italiano;

Lo scopo dell’elaborato è comprendere i principali limiti di imputazione dell’esterovestizione societaria, comparando l’ordinamento giuridico statunitense e quello italiano, e analizzando le diverse figure giuridiche coinvolte. Il lavoro parte dall’esterovestizione societaria, per poi affrontare l’interposizione reale, l’interposizione reale abusiva e l’interposizione fittizia.

Nello specifico, lo studio individua i criteri per imputare i due principali soggetti giuridici – la LLC statunitense e la S.r.l. italiana – sia in ambito nazionale che internazionale (Convenzione ITA-USA e U.E.), analizzando primariamente la differenza culturale tra il sistema di Common Law e quello di Civil Law dal punto di vista storico/giuridico.

Abstrac in Inglese;

The purpose of the thesis is to understand the main limits of imputation of corporate foreign dressing, comparing the US and Italian legal systems, and examining the different legal figures involved. The work starts from corporate foreign dressing and then deals with real interposition, real abusive interposition, and fictitious interposition.

Specifically, the study identifies the criteria for attributing to the two main legal entities – the US LLC and the Italian S.r.l. – both nationally and internationally (ITA-USA and EU Conventions), primarily analyzing the cultural difference between the Common Law and Civil Law systems from a historical/legal point of view.


Sommario: § 1. Il Ruolo chiave del Congresso U.S.A.; § 2. Il Principio della Libertà Economica nella Commerce Clause; § 3. L’Art. 1 Section 8 Clause 1 & 8 della Costituzione Federale Statunitense; § 4. La Capacità Contributiva nella Costituzione italiana; § 5. La definizione di “Persona Giuridica” nel Civil LawCommon Law; § 6. La definizione comparatistica di “Residenza Fiscale” ai fini contributivi; § 7. L’Art. 73 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) e il Place of Effective Management (POEM) nella residenza fiscale delle società; § 8. Definizione giuridica di “Esterovestizione”; § 9. La “SocietàLLCS.r.l. come soggetto giuridico d’imputazione; § 10. Il momento consumativo della fattispecie de quo e la distinzione con l’Interposizione Reale e Fittizia; § 11. I criteri giuridici – legislativi per poter definire la “Stabile Organizzazione” ai sensi dell’Art. 162 del D.P.R. n. 917/86 secondo la giurisprudenza italiana e statunitense; § 12. L’Inversione dell’onere probatorio; § 13. I risvolti sanzionatori nell’ordinamento giuridico italiano e statunitense; § 14. È possibile con l’uso dell’interpretazione giuridica, eludere l’Esterovestizione?; § 15. La “zona grigia” dell’Esterovestizione esiste davvero?; § 16. Considerazioni finali


§1. Il Ruolo chiave del Congresso U.S.A.

La Sezione 1, dell’Art. 1 della Costituzione Federale Statunitense[1] apre l’argomento riguardante il ruolo chiave del Congresso, individuando due elementi essenziali: il Principio della Riserva di Legge e gli appartenenti del Congresso, che sono la Camera dei Rappresentanti e il Senato.

La Dottrina (Eskridge, Jr. s.d.) e la Giurisprudenza (Rao s.d.) non sono unanimi sul “Principio della Delega” (Riserva di Legge) individuato all’interno dell’Art. 1 Sez. 1. Il dibattito è incentrato sulla delega legislativa federale del Congresso che è un organo rappresentativo bilaterale dell’intera nazione federale. In linea generale, per l’interpretazione comune, le caratteristiche del Congresso sono già state individuate all’interno dell’Art. 1, Sez. 1;

  1. Il Bicameralismo; i padri costituenti, ai fini di limitare il potere legislativo sia statale che federale, scelsero la struttura bicamerale; con tale strategia, si scelse di sottoporre il potere del Congresso a un duplice vaglio di legittimità legislativa.
  2. Limitazione dei Poteri; i padri costituenti scelsero di concedere al Congresso solo alcuni poteri legislativi. La differenza con i poteri legislativi statali è che quest’ultimi godono di un’autorità plenaria, il Congresso ha solo quell’autorità devoluta dalla Costituzione. Tuttavia, con il caso McCulloch v. Maryland (1819), la Suprema Corte dichiarò che, nella limitazione dei poteri che sono tassativamente elencati, vi esistono dei poteri che sono stati implicitamente devoluti nella Sezione 8 dell’Articolo 1 riguardante la Clausola Commerciale[2]. Fu solo con la New Deal Court che la Clausola Commerciale dell’Article 1 Section 8 divenne la fonte principale che rivestì il Congresso di quel potere idoneo per poter regolare l’economia[3] sia a livello statale che a livello interstatale.
  3. La non delega; per il Principio della Separazione dei Poteri dell’Illuminismo Giuridico, né il Presidente né la Suprema Corte hanno il potere legislativo[4].

Per l’interpretazione dottrinale della “delega” (Eskridge, Jr. s.d.) che riguarda la questione sulla delega legislativa, si fa riferimento alla Vesting Clause, frutto della Dottrina di Delega, che ritiene che il Legislatore (il Congresso) sia l’unico e supremo, e per questo, i limiti all’autorità legislativa devono essere rigorosamente rispettati.

Proprio sul criterio rigido della inviolabilità dei confini legislativi, secondo Merrill (2004), la Vesting Clause è caratterizzata da una linea di ambiguità tra l’emanare norme legislative e l’approvazione dei singoli statuti, così come si potrebbe considerare che, la Vesting Clause, includa anche la facoltà di delegare il potere legislativo ad altri enti. Sia nel caso Wayman v. Southard, 23 U.S. 1 (1825)[5] che nel caso J. W. Hampton, Jr. & Company v. United States (1928)[6] sono stati individuati i relativi ambiti del potere legislativo del Congresso anche in chiave “statale” all’interno dei poteri concessi dalla Costituzione.

Il conflitto sulla dottrina della non delega e della delega ha portato a confermare che l’Art. 1 sez. 1 della Costituzione sia improntata sulla Delega Legislativa, che concerne quel potere che è in capo al Congresso di legiferare nei limiti stabiliti dalla Costituzione, ivi comprendendo anche la capacità di poter delegare ad altri organi federali per la relativa legislazione. La delega, tuttavia, è subordinata a delle limitazioni esplicite e/o implicite in base alle limitazioni concesse dal Congresso[7].

Per la Giurisprudenza (Rao s.d.) la Dottrina della non delega persiste. Per i fautori della non delega, l’articolo 1 sezione 1 esplicitamente concede il potere legislativo a un organo bicamerale. Facendo espresso riferimento alla collocazione dei poteri legislativi nella Costituzione, richiamando espressamente una Legislatura Rappresentativa, si sottintende che il potere legislativo debba essere applicato da un gruppo ampio di individui che sono stati democraticamente eletti dai propri elettori e non debba essere concesso a un singolo individuo in virtù della legittimazione elettorale e della democraticità che richiede l’approvazione a maggioranza di una norma. La maggioranza che approva è la rappresentazione della volontà del singolo cittadino che si esprime attraverso i propri rappresentanti eletti[8].

Proprio per limitare e salvaguardare la libertà di ogni singolo individuo, la Dottrina della non delega sostiene l’idea che, se non si applicasse il complesso meccanismo rappresentativo per l’approvazione e l’emanazione di una norma, il principio che riguarda la separazione dei poteri rischierebbe di non esistere più, poiché il potere dell’esecutivo, legislativo e giudiziario, potrebbero venire accentrati in un unico individuo e/o organo e quindi, inficiare il due process.

Nondimeno, il X Emendamento[9] ripartisce inequivocabilmente i poteri che spettano tra gli Stati e il Congresso, in particolar modo, la Sez. 8 dell’Art. 1 che elenca gli Enumerated Powers (Fanchiotti 2022). La ratio di emanare un elenco tassativo sulla disposizione dei poteri congressuali è da rinvenire nel X Emendamento che fu emanato con l’intenzione di limitare il potere discriminatorio del Congresso che, in assenza, avrebbe potuto ledere il Principio del Bilanciamento Normativo tra Stato e Congresso (Gianello 2017).

Il X Emendamento, tuttavia, disciplina ulteriormente un altro Principio che riguarda il grado della competenza legislativa, ovverosia, “la competenza federale è l’eccezione, mentre, quella statale, è la regola” (Varano e Barsotti 2018) e in virtù di questo principio, si complicò ulteriormente l’esclusività della competenza legislativa degli Stati in determinati ambiti che sono allo stesso tempo, materia esclusiva del Congresso, dando vita al fenomeno della materia concorrenziale sulla legislazione (Pegoraro 2016).

§2. Il Principio della Libertà Economica nella Commerce Clause

Secondo J.S. MILLS[10], il Principio della Libertà Economica riguarda le Istituzioni Economiche che, in assenza di vincoli, ogni singolo individuo è libero di poter scegliere, di decidere e di dirigere la propria vita correlativamente all’attività economica. L’individuo, nella Scienza Economica, è un soggetto razionale (Bernheim e Whinston 2023).

Il punto focale del Principio della Libertà Economica all’interno della Commerce Clause è il sostantivo femminile “restrizione” che MILLS richiama in correlazione alla razionalità del soggetto agente all’interno del Commercio.

Il ruolo primario che il Congresso ha nell’applicare la Commerce Clause è quello di regolare il Commercio sia con le Nazioni Straniere che nel Commercio Interstatale e con le Tribù Indiane. Tuttavia, la Commerce Clause fu usata dal Congresso per attuare una primaria lotta contro la criminalità organizzata che, nella prima metà del secolo scorso e verso la fine, quest’ultima ebbe un ampio sviluppo (Fanchiotti 2022), queste operazioni furono viste sia come una “restrizione” del potere normativo statale che come legittima concessione del potere normativo da parte della Costituzione Federale.

Il punto focale già richiamato sul termine “restrizione” fece nascere dubbi interpretativi sul sostantivo maschile “commercio[11], nell’effettivo potere concesso al Congresso nel disciplinare la propria discrezionalità giacché, la stessa Costituzione Federale, non da una definizione esplicita sul “commercio”. Nel caso Gibbons v. Ogden del 1824, la giurisprudenza applicò un’interpretazione estensiva sul termine “commercio” dichiarando che, l’attività economica era regolata dalla clausola commerciale solo se, tale attività, comprendesse un commercio di rango interstatale. Nel caso Swift and Company contro Stati Uniti del 1905[12], la Suprema Corte ampliò ulteriormente il termine “commercio” includendovi la facoltà, per il Congresso, di poter intervenire se, il commercio in questione comprendesse un’anomalia sul “flusso commerciale interstatale”.

Dalla lettura sommaria, in correlazione con gli Enumerated Powers, si delineano le esigenze di dover ampliare una tutela maggioritaria sia di interesse federale che interstatale, interesse che mira a tutelare la libera concorrenza economica e commerciale, tutelando la dignità umana. La “commerce clause” pertanto, ha quel potere di colpire quelle clausole che vengono denominate come “clausole commerciali dormienti”[13]nei confronti di quegli Stati che, in virtù della materia concorrenziale, approvano Leggi e/o Regolamenti di natura protezionistica che sono in grado di poter attuare discriminazione o che attuino condotte che, ledendo il Principio della Libertà Economica, vanno a gravare sul commercio interstatale come nel caso West Lynn Creamery Inc. contro Healy[14], quando la Suprema Corte annullò la tassa sul commercio del Massachusetts relativa ai prodotti lattiero-caseari poiché ostacolò il commercio interstatale attuando una discriminazione tra i cittadini e le imprese non del Massachusetts.

§3. L’Art. 1 Section 8 Clause 1 & 8 della Costituzione Federale Statunitense

La clausola 1 della Section 8 dell’art. 1 della Costituzione concede al Congresso il potere di istituire, e quindi, di imporre, tasse, dazi e imposte. Interessante è il secondo capoverso finale che delinea l’uniformità, a livello federale, delle imposte[15], dei dazi e delle accise escludendo le tasse del primo capoverso iniziale “but all Duties, Imposts and Excises shall be uniform throughout the United States”.

Questa uniformità è comunemente conosciuta come imposta indiretta[16], l’imposta, per poter essere considerata come imposta indiretta, deve soddisfare determinati requisiti individuati dalla Suprema Corte[17] che sono la genericità e la neutralità geografica dell’imposta. Questi due elementi fattuali non devono essere circoscritti in una determinata area geografica, poiché è solo così che si potrà parlare di potere impositivo federale[18].

Diverso avviso è la Clause 8 sempre dello stesso Enumerate Power che disciplina l’Intellectual Property. Nello specifico, la Clause 8 riguarda il Federal Power Over Trademarks, il potere federale sui marchi. La disciplina sulla protezione federale dei Marchi che è concessa dalla Carta costituzionale al Congresso federale è derivata dal fatto che, il Marchio, rientra nella libertà del Commercio, e pertanto, trova una propria disciplina nell’article 1. Inizialmente, questa funzionalità logica non era di comune opinione, nel Trade-Mark Cases, del 1879, la Suprema Corte dichiarò che il Congresso non era competente nel tutelare il Marchio. L’orientamento mutò nel XX secolo quando, a seguito del caso Dawn Donut Co.[19] dove si ritenne che, il Congresso, mediante la Clause 3 del commercio interstatale, avesse il potere di regolamentare l’uso dei marchi commerciali dei singoli prodotti venduti tra i vari stati, favorendo, oltretutto, anche l’espansione del franchising del relativo marchio aziendale (Mattei 1998).

§4. La Capacità Contributiva nella Costituzione italiana

La capacità contributiva che è prevista dall’art. 53 della Costituzione italiana riguarda tutti coloro che abbiano un proprio interesse economico in Italia, prevedendo sia un dovere “contributivo” che un dovere “solidaristico” in ragione della propria capacità contributiva secondo i criteri della progressività (Falsitta 2020). Per fare ciò, il Legislatore italiano, nel momento in cui deve emanare un atto normativo che incide sul gettito fiscale, deve tenere conto (Blanchard, Amighini e Giavazzi 2020) della capacità contributiva del contribuente in correlazione di una reale titolarità reddituale, e solo dopo l’aver individuato la fonte reddituale, si potrà applicare il principio della progressività che consiste nel contribuire al gettito fiscale nazionale in base a determinate soglie individuate dalla normativa vigente. Questo meccanismo non è uniformemente applicato, giacché, non vengono prese in considerazione le imposte indirette, ma solo quelle dirette.

§5. La definizione di “Persona Giuridica” nel Civil LawCommon Law

Per poter comprendere la definizione comparata riguardante la “Persona Giuridica” bisogna comprendere l’origine dei due sistemi de quo. I sistemi del Civil Law e del Common Law sono due sistemi che trovano origine in due momenti differenti (Alvazzi Del Frate, et al. 2022). L’ordinamento di diritto scritto (il Civil Law) ha avuto origine dal diritto romano con le prime costituzioni, quindi, con le prime leggi scritte che furono emanate dal Senato per poi avere il primo Codice civile conosciuto come il Codice Teodosiano alla quale seguirà il Codice Giustinianeo (Madeo 2022). Attualmente, ci si riferisce alle Codificazioni moderne, nate subito dopo la Rivoluzione francese, come il Code Civil e Code Pénal Napoleon (Ferrante 2015). La caratteristica è quella di avere delle norme scritte che vengono raccolte in un unico testo ordinato e di riferimento, si tratta del Codice francese, dove nacque dall’idea di mettere a disposizione al Giudice un testo unico dove vennero riportate poche norme, ma concise e chiare. La caratteristica del Civil Law, oltre alla scrittura, è la sua astrattezza e generalità. Questo è il lascito dei Doctores romani (Pavese 2013). Il diritto romano ha avuto il pregio di fondare il carattere fondamentale del moderno Civil Law, riguardante l’astrattezza e la generalità della norma che verrà applicata nella fattispecie concreta del fatto storico (Manfredini 2007). La regola generale e astratta consente alla norma di poter essere calata nella fattispecie concreta. Successivamente, con le codificazioni dell’800, il Codice del Civil Law venne arricchito di altri principi, la Rivoluzione francese che portò al riconoscimento dei diritti dei consociati, oltre a far riconoscere il Principio della Legalità Formale, consistente nell’attuare una garanzia sull’essere umano in generale, come l’integrità fisica, la dignità e la libertà personale. Il principio della libertà personale viene rivendicato così nelle Codificazione dell’800 per poter attuare e integrare i principi garantisti, istituendo dei limiti ai poteri autoritativi mediante la separazione dei poteri, come l’elezione del Parlamento come unico organo dotato del potere legislativo, in grado di poter stabilire in quali casi e modi, le libertà fondamentali dell’essere umano possano essere limitati. Il Common Law, invero, ha origini e caratteristiche diverse. La madrepatria del Common Law è l’Inghilterra. Fino al 1066 d.c., l’Inghilterra fu un’isola abbastanza isolata, non avendo alcun rapporto con altri paesi dell’Europa se non con la Francia. Nella Gran Bretagna ante-Medio Evo, ci furono dei gruppi barbarici che adottarono determinate regole, regole adottate dal Capo del gruppo di appartenenza. La funzione del Capo, oltre ad essere quella legislativa, era anche giudiziaria. Stabiliva sia il giusto che il sbagliato e le relative pene da dover espiare (Lo Jus Commune del Diritto Romano). Le regole che furono impartite dal Capo Tribù erano quindi, delle regole non scritte, che vennero create sul momento, suscettibili alla variabilità del caso concreto. Successivamente, e solo con Guglielmo di Normandia, detto il Conquistatore, sbarcando in Gran Bretagna, conquistò il Regno Unito nel 1066 d.c. instaurando così il Sistema Feudale tipico del Medio Evo. Il Sistema Feudale è un sistema puramente amministrativo, ma è anche un sistema giudiziario. Il Capo Tribù non esiste più, al suo posto, vennero istituiti dei Giudici, ed è proprio grazie a quest’ultimi che trova la nascita del Common Law “moderno”. A partire dal 1200, il Giudice iniziò a regolamentare la fattispecie sul momento, al contrario del Civil Law che prevede l’uso delle norme scritte, applicando l’Analogia Juris. Il Giudice inglese non crea una regola generale e astratta, ma la crea sul caso concreto. Quindi, se la regola dovesse ricadere in un caso simile e/o identico, il giudice successivo, dovrà usare la regola impartita dal giudice precedente. Il Common Law ha sì un carattere concreto, empirico e induttivo, ma non dà le garanzie legali che sono tipiche del Civil Law, tuttavia, ha un vantaggio che è quello dell’adattamento rapido della norma giuridica all’evoluzione della Società dove il Consociato vive. Dopo questo breve excursus, possiamo comprendere la definizione giuridica riguardante la “Personalità Giuridica[20] dei due sistemi giuridici de quo. Nel diritto romano, la “persona giuridica” era ignota, poiché era l’essere umano, inteso come unico soggetto vivente e dotato di razionalità ad essere unico titolare dei diritti e dei doveri giuridici. Fu grazie a Grozio e Puferdorf che venne realizzato un primo tentativo nel definire e nell’individuare una persona moralis che affiancò la persona naturalis. La differenza è che la persona moralis è di elaborazione dottrinale, la persona naturalis esiste già di per sé all’interno della natura. Fu poi con Savigny che venne delineata una definizione che venne poi recepita all’interno dei codici dell’800, ovverosia, elaborò la c.d. Teoria Finzionistica (Fiktionstheorie) dove venne chiarita la distinzione fondamentale tra la persona giuridica e quella naturale, consistente nel suo essere inanime che per poter agire nell’espletamento dei propri doveri giuridici deve dotarsi di un organico capace di dare all’esterno stimoli e vitalità grazie all’uso delle persone fisiche. Nel Common Law, tuttavia, con delle espressioni del tipo legal person, juridical person e juristic person stanno a indicare un gruppo di persone e di mezzi idonei riconosciute dal diritto vigente nell’espletamento della propria finalità come se fosse un singolo individuo a sé stante (Madeo 2022) con determinate limitazioni di natura soggettiva che le persone fisiche possono contrarre.

§6. La definizione comparatistica di “Residenza Fiscale” ai fini contributivi

Sia l’ordinamento giuridico italiano che quello statunitense, in difetto un’unica definizione globale per poter definire il concetto di “Residenza Fiscale” utilizzano – oltre alle relative convenzioni (UCKMAR 2002) – alcuni criteri comuni quali:

  1. In Italia[21] per le Persone Fisiche, l’art. 2, commi 1 e 2 del TUIR stabilisce che “ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta di riferimento sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile” congiuntamente all’art. 43 commi 1 e 2 del Codice civile che individuano il domicilio o la residenza nel territorio italiano del soggetto passivo. Il dato testuale della norma che individua gli elementi chiave della fattispecie de quo, sono alternativi tra di loro, pertanto, è sufficiente che si sia avverata un solo elemento ivi individuato come descritto nel successivo articolo 73 comma 3 del TUIR per le Persone Giuridiche che individua “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato”. Anche l’art. 73 comma 3 individua il criterio alternativo della sede legale dell’amministrazione o dell’oggetto principale della propria attività nel territorio. Dal combinato disposto si può trarre il principio in cui, la definizione del sostantivo femminile “residenza” consiste nel centro principale dei propri interessi economici e sociali della Persona Giuridica protratta per un arco temporale idoneo affinché ciò si avveri[22].
  2. Negli U.S.A. a priori si considera una persona fisica non residente nel loro territorio affinché questa non realizzi uno degli elementi costitutivi della fattispecie; il primo requisito è denominato “U.S. Tax Residency – Green Card Test[23]” che è destinato al possessore della Green Card che, per mezzo di essa, si presume ab initio, una residenza effettiva sul suolo americano, il secondo criterio, invece, riguarda il “Substantial Presence Test[24]” che richiede il soddisfacimento di determinati requisiti come il rimanere fiscalmente presente sul suolo statunitense per 31 giorni durante l’anno in corso e di 183 giorni nel triennio (l’anno concomitante dei 31 giorni più i 2 anni successivi) con le seguenti modalità di calcolo; i giorni dell’anno in corso + 1/3 dei giorni dell’anno precedente all’anno in corso + 1/6 dei giorni del secondo anno dell’anno in corso. La peculiarità è derivata dalla definizione giuridica che l’ordinamento statunitense dà al sostantivo femminile Persona, indicando che al sostantivo “Persona” è equiparato sia la Persona Fisica che quella Giuridica senza alcuna distinzione eccetto per le Unità Governative[25] al contrario della definizione italiana in base alla persona giuridica e/o fisica.

Il fattore positivo in comune è l’arco temporale che l’individuo soggiace su un determinato suolo che sono 183 giorni in entrambi i casi per le persone fisiche[26] e il secondo criterio positivo è la definizione della persona giuridica in entrambi gli ordinamenti con la relativa residenza.

Dal punto di vista comparatistico, la residenza fiscale delle società negli U.S.A. e in Italia ai fini di delineare gli elementi essenziali della esterovestizione, presentano importanti differenze. Negli Stati Uniti (Iannaccone e Perin 2019), le società sono considerate residenti fiscali se sono costituite e organizzate in base alla normativa vigente degli Stati Uniti o se questi, abbiano una presenza effettiva nel territorio suddetto. Questo significa che se una società, per poter essere considerata ai fini fiscali come residente fiscale statunitense, deve essere costituita o registrata in uno stato federale nel relativo territorio, ovvero, avere una presenza commerciale fisica nel territorio americano come, per esempio una filiale, una succursale o un ufficio. Il sistema fiscale americano prevede il concetto di “worldwide taxation[27] ovverosia, una tassazione dell’intero reddito che è prodotto in tutto il mondo, che sia esso stato prodotto all’interno o all’esterno degli Stati Uniti.

In Italia, le società sono considerate residenti fiscali se queste hanno la loro sede legale o la loro principale attività amministrativa o il loro principale centro di interessi economici in Italia (Camisasca, et al. 2023). Inoltre, il sistema fiscale italiano ha introdotto un ulteriore strumento utile ai fini dell’imposizione fiscale che riguarda la tassazione territoriale. Quest’ultimo istituto prevede di dover applicare l’imposizione fiscale relativamente alle attività commerciali di qualsiasi entità e/o di natura che vengono svolte sul territorio italiano (Amatucci 1994) & (Lupi 1991) e quindi, producendo reddito imponibile. Esiste una differenza sostanziale tra il sistema fiscale americano e quello italiano: gli Stati Uniti applicano il principio della tassazione sulla base della cittadinanza, ovvero la tassazione dei redditi indipendentemente dal luogo in cui questi vengono prodotti, mentre in Italia la tassazione è fondata sulla residenza fiscale, ovvero sulla posizione della sede legale o dell’attività amministrativa principale (Bosi e Guerra 2020). Inoltre, in Italia la tassazione territoriale per le società implica una maggiore libertà nella scelta della sede legale e la possibilità di poter effettuare delle operazioni transfrontaliere senza dover incorrere in una tassazione elevata degli utili prodotti all’estero (Trimarchi Banfi 2021).

In sintesi, la residenza fiscale delle società negli Stati Uniti d’America e in Italia si basa su concetti e regolamentazioni differenti che riflettono le diverse tradizioni giuridiche, fiscali e commerciali dei due paesi. Tuttavia, entrambi i sistemi prevedono delle sanzioni rigorose per l’esterovestizione e le pratiche fiscali abusive.

§7. L’Art. 73 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) e il Place of Effective Management (POEM) nella residenza fiscale delle società

L’Art. 73 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (DPR 22 dicembre 1986, n. 917) riguarda il concetto di residenza fiscale delle società (Leo, Monacchi e Schiavo 1993).

L’articolo de quo stabilisce che una società, per poter essere considerata fiscalmente residente in Italia[28], deve avere:

  1. una sede legale, ovvero;
  2. un ufficio amministrativo, ovvero;
  3. una principale attività commerciale.

In correlazione al già menzionato articolo, interviene il concetto del Place of Effective Management (POEM)[29], che è un concetto utilizzato per determinare la residenza fiscale di una società. Il POEM è definito come quel luogo in cui vengono prese le principali decisioni gestionali e amministrative della società. Questo significa che, se la maggior parte delle decisioni riguardanti l’operatività di una società sono prese in Italia, questa sarà considerata fiscalmente residente in Italia, indipendentemente dalla sua sede legale o amministrativa.

Il POEM, pertanto, è uno strumento utile per l’autorità fiscale italiana poiché lo utilizza per poter garantire che le società operanti in Italia paghino i relativi contributi in base alla loro effettiva attività svolta sul territorio italiano, anche se queste ultime intendono sfruttare tecnicamente la loro residenza fiscale in un altro paese. Il concetto di Place of Effective Management (POEM) fa quindi riferimento alla sede effettiva della gestione di un’azienda, piuttosto che alla sua sede legale o fiscale. L’idea è che le aziende dovrebbero pagare le imposizioni fiscali nel paese in cui abbiano effettivamente la loro base operativa, anziché utilizzare, in modo del tutto elusivo, la sede fiscale come base per pagare l’imposizione fiscale in un paese diverso.

Il POEM venne introdotto in India nel 2015[30] come parte del Budget 2015-16. L’obiettivo era, ed è, quello di limitare l’evasione fiscale da parte delle aziende straniere operanti in India. Inizialmente, erano solo le aziende con un fatturato superiore a INR 50 crore (circa $7,6 milioni) a dover rispettare il concetto del POEM. Nel 2017, tuttavia, ci fu un cambio di rotta da parte del governo indiano che modificò le norme POEM per poter definire in modo più chiaro le regole. Così, dal 1° aprile 2017, le aziende indiane e straniere sono assoggettate al concetto POEM se soddisfano almeno uno dei seguenti criteri[31]:

  1. Il fatturato consolidato annuale dell’azienda è superiore a INR 750 crore ($115 milioni).
  2. L’azienda ha almeno una filiale o un’unità commerciale all’estero.
  3. L’azienda opera prevalentemente all’estero.

L’attuale normativa indiana definita dal Ministero delle Finanze indica che le aziende dovrebbero dimostrare dove si trova il POEM in base a una serie di fattori[32], come la sede del management, la sede operativa e le decisioni strategiche. L’Agenzia delle entrate indiana è dotata del potere di verificare, e quindi, di poter confermare il POEM di un’azienda.

In sintesi, il POEM è un concetto che mira a garantire che le aziende paghino le giuste imposizioni fiscali nel paese in cui effettivamente sono operanti. Il concetto di POEM fu ulteriormente chiarito con lo scopo di attuare una maggiore chiarezza e trasparenza nel processo fiscale.

§8. Definizione giuridica di “Esterovestizione

La Garzanti Linguistica[33], definisce il termine di “esterovestizione” come “trasferimento della sede legale di una società in un paese con regime fiscale più vantaggioso di quello nazionale, anche se la società continua a essere amministrata nel paese di origine” e in esso potrebbero infatti confluire l’uso di qualche stratagemma o di un’azione artificiosa in combinazione con determinati meccanismi giuridici al solo scopo di occultare la vera natura dell’operazione economica o di un’attività, ovvero, potrebbe significare l’utilizzo di uno o più intermediari, che sono formalmente estranei all’operazione de quo, con il solo scopo di poter conferire una parvenza di legittimità alle azioni che in realtà sarebbero illecite[34], in altri termini, una finzione idonea a eludere le normative fiscali vigenti.

§9. La “SocietàLLCS.r.l. come soggetto giuridico d’imputazione

La LLC (Limited Liability Company)[35] è una forma di società a responsabilità limitata negli Stati Uniti, mentre in Italia la forma di società a responsabilità limitata è la S.r.l. (Società a responsabilità limitata) (Cian 2023). Entrambe le forme societarie permettono ai soci di limitare la loro responsabilità per le attività realizzate della società (Iannaccone e Perin 2019). Come soggetto giuridico d’imputazione, la LLC e la S.r.l. sono entrambe[36] considerate persone giuridiche separate e distinte dai loro soci. Ciò significa che la società può essere titolare di diritti e obblighi, potere di rappresentanza e patrimonio propri, indipendenti da quelli dei soci. Inoltre, la LLC e la S.r.l. sono entrambe responsabili delle proprie passività e obbligazioni, il che significa che i creditori della società non possono rivolgersi direttamente contro i soci per soddisfare le loro richieste[37]. Tuttavia, ci sono alcune differenze tra la LLC e la S.r.l. Nel sistema giuridico italiano, la S.r.l. ha alcuni vincoli e regole specifiche legate agli aspetti patrimoniali, al valore della quota di partecipazione dei soci, ai limiti per la distribuzione dei dividendi, alle modalità di convocazione dell’assemblea, ecc. (Cian 2023) mentre in una LLC, le regole sono più flessibili e meno vincolanti (Iannaccone e Perin 2019).

Sia la LLC che la S.r.l. sono soggetti giuridici d’imputazione separati dai rispettivi soci e sono soggetti a regole e vincoli specifici determinati dalle rispettive giurisdizioni dove ivi operano. La Limited Liability Company (LLC) quindi, è una forma di società a responsabilità limitata creata negli Stati Uniti. La sua struttura è in qualche modo simile a quella della società a responsabilità limitata (S.r.l.) italiana, in quanto fornisce ai suoi membri che sono chiamati “partners” o “membri” la relativa protezione della responsabilità limitata per le attività dell’impresa[38]. Una delle caratteristiche principali della LLC è la sua flessibilità strutturale, in quanto consente ai membri di poter definire in modo relativamente semplice l’organizzazione, la gestione e le attività dell’impresa (Iannaccone e Perin 2019). I membri della LLC possono, pertanto, utilizzare un accordo di gestione per poter regolare i loro diritti e le loro responsabilità, nonché il controllo dell’impresa. Tali accordi di gestione sono redatti, nella prassi, con estrema attenzione al dettaglio dagli avvocati specializzati in diritto societario.

§10. Il momento consumativo della fattispecie de quo, e la distinzione con l’Interposizione Reale e Fittizia

Per quanto concerne l’Esterovestizione, questa è un’operazione volta a creare una fittizia residenza fiscale di una persona giuridica o fisica in uno Stato dove l’imposizione fiscale è vantaggiosa pur operando fisicamente nello Stato d’origine nazionale[39]; il concetto della Esterovestizione è strettamente collegato dall’individuazione della residenza fiscale che a sua volta è strettamente collegato alla sede effettiva mediante i tre criteri d’imputazione: 1) Residenza Fiscale; 2) La Sede Amministrativa; 3) Oggetto Principale che consiste in un’attività di coordinamento, di sviluppo prevalente. Questi tre criteri sono alternativi e devono sussistere per un tempo maggiore del periodo d’imposta.

Congiuntamente al fenomeno dell’Esterovestizione, s’intersecano altri due fenomeni giuridici; in una prima facie, sembrerebbero tre fenomeni giuridicamente simili, ma se guardati con criterio, risultano essere due fenomeni diversificati sia per l’elemento e natura giuridica che per gli effetti produttivi, ovverosia, il fenomeno dell’Interposizione Reale, quella Reale Abusiva e la Fittizia.

Con l’Interposizione Reale, assistiamo a un trasferimento, senza alcun secondo fine illecito, di un diritto che è efficace e valido, effettuato dal soggetto interponente all’interposto. Questo trasferimento si perfeziona per volontà delle parti contraenti in difetto di un accordo simulatorio tipico dell’Interposizione Fittizia.

L’Interposizione Fittizia richiede la compartecipazione fittizia di un terzo. Il Comitato sugli affari fiscali dell’OCSE espresse forti preoccupazioni per quanto riguarda l’abuso delle convenzioni che sono state stipulate dagli Stati. L’abuso è realizzato dalle persone fisiche o giuridiche che agiscono grazie alle c.d. “conduit company[40] che vengono istituite in uno Stato per poter ottenere i relativi benefici che la convenzione stipulata rilascia. La collocazione degli interposti in quegli Stati dove il regime tributario è ampiamente favorevole, può determinare l’intenzione di attuare un risparmio fiscale a proprio vantaggio. L’Interposizione Fittizia, pertanto, richiede per la propria realizzazione la compartecipazione di tre soggetti[41] che sono: 1) Il Contraente Apparente; 2) Il Contraente Effettivo; 3) La Controparte. In generale, si può affermare che, per quanto riguarda l’Esterovestizione[42], non si richiede l’intervento di un terzo poiché questa consiste nel dichiarare semplicemente una falsa residenza fiscale estera pur operando nello stato della reale residenza (es. Azienda operante in Italia con sede dichiarata in Lussemburgo). Si deve aggiungere, tuttavia che, la Giurisprudenza italiana, ha una certa tendenza nel far confluire all’interno dell’art. 37 comma 3 anche l’Interposizione Reale. Nel capoverso precedente, si è detto, infatti che, in assenza di secondi scopi illeciti, l’Interposizione Reale è lecita; la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15830/2016[43], dichiarò che, il comma 3 del già menzionato articolo colpisce “ogni uso improprio o ingiustificato di strumenti giuridici, pur di per sé legittimi, quando l’uso che se ne fa è volto a realizzare l’elusione”. Con quest’affermazione – che riguardò il caso di una LLC – la Cassazione, indicò che è solo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante dello strumento giuridico, vero o simulato che sia, ivi compresa la società, astrattamente idoneo a portare a termine l’elusione fiscale facendo riferimento anche all’Interposizione Reale ma Abusiva.

La sentenza in oggetto, nei vari punti, permette di individuare la distinzione delle fattispecie menzionate:

  1. Con il termine Esterovestizione, pertanto, il soggetto agente mette in pratica una finzione riguardante la propria sede;
  2. Con l’Interposizione Fittizia, abbiamo un terzo soggetto che spende la propria ragione sociale in favore di uno dei due contraenti;
  3. Con l’Interposizione Reale, abbiamo un accordo che è giuridicamente lecito con una Società che opera effettivamente come terzo;
  4. Con l’Interposizione Reale Abusiva, troviamo un terzo soggetto che risiede effettivamente all’estero con il preciso scopo di eludere l’imposizione fiscale.

Dall’analisi emerge che, l’Esterovestizione, sia effettivamente un’evasione fiscale, mentre, per quanto concerne l’Interposizione Fittizia, la giurisprudenza individua il comma 3 dell’art. 37 come strumento utile per contrastare l’evasione fiscale congiuntamente alla sottile linea di confine riguardante l’Interposizione Reale giuridicamente Lecita (in assenza di secondi fini) con quella Abusiva. La Cassazione, richiamando i propri precedenti[44] ha indirettamente richiamato l’art. 10 – bis dello Statuto del Contribuente che disciplina l’abuso del diritto ai fini dell’elusione fiscale, la norma opera come bussola d’orientamento per l’interprete[45] che dovrà applicarla caso per caso e non aprioristicamente.

§11. I criteri giuridici – legislativi per poter definire la “Stabile Organizzazione” ai sensi dell’Art. 162 del D.P.R. n. 917/86 secondo la giurisprudenza italiana e statunitense

L’articolo 162 del D.P.R. n. 917/86, il cosiddetto Testo Unico delle Imposte sui Redditi, prevede la definizione di Stabile Organizzazione ai fini fiscali. Secondo la giurisprudenza italiana, ci sono alcuni criteri giuridici – legislativi che devono essere considerati per determinare l’esistenza di una stabile organizzazione[46]. In generale, ai fini dell’imposizione fiscale, una stabile organizzazione è quando un’impresa ha una presenza stabile e fissa, costituita da una residenza amministrativa, legale e logistica in uno Stato attraverso la quale svolge in modo continuativo un’attività economica. La giurisprudenza italiana[47] ha identificato alcuni criteri che possono essere utilizzati per stabilire se esiste una stabile organizzazione[48]:

  1. Fissazione nel territorio: l’impresa deve avere un luogo fisso di affari nel paese in questione, tale da consentire l’esercizio dell’attività economica;
  2. Autonomia gestionale: la stabile organizzazione deve essere dotata di una certa autonomia decisionale e organizzativa, da cui dipende l’attività svolta;
  3. Attività svolta in modo continuativo: l’attività economica deve essere svolta in modo continuativo attraverso la stabile organizzazione;
  4. Durata temporale: la stabile organizzazione deve essere presente per un certo periodo di tempo, non necessariamente prolungato ma comunque tale da poter parlare di una presenza stabile.

La presenza di una stabile organizzazione, dal punto di vista comparatistico, ha importanti conseguenze fiscali, in quanto l’Impresa è tenuta a dichiarare i redditi prodotti attraverso la struttura presente nello Stato dove effettivamente adempie l’attività[49].

Negli Stati Uniti, il concetto di Stabilimento Fisso (o Stabile Organizzazione) viene utilizzato dalle autorità fiscali statunitensi[50] per poter determinare l’imposizione fiscale delle società straniere che svolgono le attività economiche all’interno dei confini statunitensi. Secondo la giurisprudenza americana, l’esistenza di una stabile organizzazione è definita come la presenza di una base fissa di affari negli Stati Uniti da parte di un’impresa straniera che svolge una attività commerciale continuativa o ricorrente nell’ambito di questa base. Le autorità fiscali americane prendono in considerazione diversi fattori per identificare l’esistenza di una stabile organizzazione. In particolare, sono rilevanti i seguenti fattori (Iannaccone e Perin 2019):

  1. Presenza fisica dei dipendenti: è presente una stabile organizzazione quando l’impresa straniera ha dipendenti che lavorano fisicamente negli Stati Uniti, anche solo in modo temporaneo, oppure vi svolgono attività lavorative ripetute nel tempo;
  2. Presenza fisica di beni immobili: la proprietà o l’affitto di un immobile o di una struttura fissa in Stati Uniti è un indice di stabilità;
  3. Presenza di attività produttive: un’impresa straniera che svolge attività produttive, come ad esempio la produzione di beni, nel territorio statunitense può essere considerata in possesso di una stabile organizzazione.

Anche negli Stati Uniti, l’esistenza di una stabile organizzazione ha rilevanza fiscale. In particolare, l’impresa straniera può essere tenuta a dichiarare i redditi prodotti attraverso la struttura presente negli Stati Uniti e a pagarvi le relative imposte.

§12. L’Inversione dell’onere probatorio

In Italia, con la Sentenza n. 1407/1 del 04/05/2021 della Comm. Trib. Reg. per la Calabria, si è ribadito il principio dell’onere probatorio che ricade alla Società convenuta nel dimostrare l’infondatezza dell’accusa mossa dall’Erario “(…) è onere quindi della contribuente invertire i fatti sostenuti dalla Amministrazione Finanziaria in merito alla presenza di esterovestizione, in particolare fornendo la prova contraria relativamente al fatto che la sede legale dell’amministrazione di società formalmente costituite in un paese non italiano, ma amministrate nella sostanza da soggetti italiani, si presuma che sia situata nel territorio nazionale. In altri termini il contribuente deve provare, “con argomenti adeguati e convincenti”, l’esistenza di elementi, fatti, situazioni od atti, idonei a dimostrare un concreto radicamento della direzione effettiva nello Stato estero. A fronte di tali oneri, e degli ulteriori meglio compendiati nel PVC e nell’avviso di accertamento, tutti tratti dal procedimento penale, la cui conoscenza e legittimità non è confutata dal ricorrente, le allegazioni dell’effettività dell’esercizio dell’attività imprenditoriale in territorio irlandese sono da ritenersi del tutto assertive e pretestuose. La Commissione, sulla scorta del materiale probatorio e delle inferenze logico deduttive meglio rappresentate nel processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F., condivide le conclusioni cui è pervenuto l’Ufficio, e le implicazioni di natura fiscale ed impositiva oggetto dell’avviso di accertamento (…)”[51], l’onere probatorio nel diritto fiscale italiano e statunitense fa riferimento alla necessità di provare, e quindi, nel dimostrare la regolarità fiscale da parte del contribuente in contrapposizione alla corretta applicazione del potere pubblico concesso alle Autorità finanziarie dalla normativa.

L’onere probatorio, pertanto, consiste nell’obbligo di dover dimostrare la veridicità delle dichiarazioni presentate al fine di poter ottenere benefici fiscali e/o nella relativa infondatezza delle accuse mosse dalla Pubblica Autorità.

Nello specifico, in Italia, l’onere probatorio è disciplinato dall’art. 2697 del Codice civile[52] e dall’art. 32 del D.P.R. n. 600/1973, precisato da una consolidata giurisprudenza tributaria. Secondo tale normativa e giurisprudenza, l’onere della prova spetta a chi sostiene l’esistenza o la verità di un fatto. In altri termini, il contribuente è chiamato a dimostrare la veridicità delle proprie dichiarazioni, ma l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare l’illegittimità delle stesse “(…) l’Amministrazione finanziaria ha sufficientemente dimostrato il sussistere del presupposto normativo, mentre la società contribuente non ha dimostrato che l’attività svolta all’estero è effettiva e non soltanto fittizia e strumentale ad ottenere un risparmio d’imposta (…)”.

Negli Stati Uniti, l’onere probatorio è regolamentato dal Tax Equity and Fiscal Responsibility Act (TEFRA) del 1982[53]. Secondo tale normativa, l’onere probatorio spetta all’Amministrazione finanziaria, che deve dimostrare la corretta applicazione delle norme fiscali e tributarie. Tuttavia, il contribuente ha l’obbligo di fornire tutte le informazioni necessarie per la corretta valutazione dei fatti e dei dati fiscali.

La giurisprudenza americana riconosce la differenza tra l’onere probatorio in capo alle parti (come in Italia) e l’onere della prova (burden of proof), sostenendo che in caso di ambiguità o incertezza, debba gravare sulla parte che ha maggiori conoscenze e possibilità di acquisire le informazioni necessarie[54]. In entrambi i sistemi giuridici, tuttavia, la giurisprudenza ha avuto un ruolo fondamentale nella definizione e nella precisazione dell’onere probatorio. La giurisprudenza statunitense ha contribuito a definire i criteri che i giudici utilizzano per valutare la prova fornita dalle parti e per stabilire l’onere probatorio, che spetta alla parte che ha maggiori conoscenze e possibilità di acquisire le informazioni necessarie.

§13. I risvolti sanzionatori nell’ordinamento giuridico italiano e statunitense

L’Esterovestizione e l’Interposizione, pertanto, sono dei fenomeni giuridici che implicano l’utilizzo di alcune tecniche artificiose idonee per eludere l’imposizione fiscale e/o nell’ottenere indebiti vantaggi. In Italia, la rilevanza penale è disciplinata dall’articolo 5 del D.lgs. 74/2000 modificato con la Legge n. 157/2019. La normativa punisce sia il contribuente che il sostituto d’imposta nell’atto di omettere la dichiarazione annuale al solo scopo di eludere l’imposizione fiscale (Ambrosetti, Mezzetti e Ronco 2022).

Negli Stati Uniti, l’Esterovestizione/l’Interposizione sono disciplinate sia dalle leggi fiscali federali che statali. Le autorità fiscali hanno il potere di effettuare controlli sulle varie pratiche fiscali adottate dalle società estere imponendo le relative sanzioni amministrative e penali in caso di abusi del diritto. Tuttavia, dato che, nell’ordinamento giuridico statunitense non esiste il “diritto amministrativo” come nell’ordinamento italiano, le relative “sanzioni amministrative” avranno natura civilistica e/o penalistica, gli unici due istituti esistenti (Fanchiotti 2022).

Nell’evoluzione storica giuridica italiana, l’Esterovestizione/Interposizione hanno trovato una propria genesi a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, con le relative ingenti perdite delle entrate fiscali per lo Stato. Successivamente, la giurisprudenza italiana ha consolidato la sua dottrina in materia di abuso del diritto attraverso sentenze della Corte di Cassazione, che ha stabilito i principi generali del fenomeno oggetto di studio.

Nella giurisprudenza italiana[55], l’Esterovestizione/Interposizione continuano ad essere oggetto di accesi dibattiti giuridici e la sua individuazione è ancora molto complessa su cui si sente la necessità di stabilire regole chiare e univoche.

Negli Stati Uniti, la giurisprudenza sulla questione è altrettanto significativa. La Corte Suprema degli Stati Uniti con la decisione Gregory v. Helvering nel 1935[56] ha stabilito che l’esterovestizione non può essere utilizzata per evitare le tasse. L’Esterovestizione/Interposizione sono dei fenomeni giuridici che implicano l’uso di idonei stratagemmi per poter eludere l’imposizione fiscale e/o ottenere vantaggi illeciti. In Italia e negli Stati Uniti, le autorità hanno creato un quadro normativo per disciplinare la pratica de quo e le possibili sanzioni.

Una delle principali leggi federali in materia fiscale è il Tax Code degli Stati Uniti, che stabilisce le regole per il pagamento delle tasse federali sui redditi, sui profitti e su altri beni. Il Tax Code prevede sanzioni amministrative e penali per chi evita di pagare le imposizioni fiscali attraverso l’utilizzo di artificiosi stratagemmi giuridici, che possono includere l’Esterovestizione e/o l’Interposizione. La sezione 482 del Tax Code prevede in particolare la tassazione dei trasferimenti di beni e servizi tra imprese associate, in modo da evitare l’esterovestizione attraverso operazioni interne al gruppo[57]. La Foreign Account Tax Compliance Act (FATCA) è un’altra importante legge fiscale federale introdotta nel 2010. Questa legge prevede che le istituzioni finanziarie estere debbano fornire informazioni sulle attività di contribuenti statunitensi, al fine di evitare l’evitamento fiscale attraverso l’uso di conti bancari offshore[58].

Per quanto riguarda sia la giurisprudenza che la normativa vivente sulla Esterovestizione/Interposizione e sulla residenza fiscale delle società, tra le più rilevanti negli Stati Uniti d’America sono:

  1. Gregory v. Helvering (1935)[59] – Una sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che ha stabilito che l’esterovestizione non può essere utilizzata per evitare le tasse.
  2. Subpart F (1962)[60] – Una legge fiscale federale introdotta per prevenire l’esterovestizione tramite la tassazione di società estere che controllano società statunitensi.
  3. Appleby v. Comm’r of Internal Revenue (1975)[61] – Una sentenza della Corte d’Appello degli Stati Uniti che ha stabilito il principio della business purpose doctrine[62], ovvero la necessità che ogni operazione sia effettuata per un motivo commerciale legittimo invece di finalità fiscali.

§14. È possibile con l’uso dell’interpretazione giuridica, eludere l’Esterovestizione?

Per poter rispondere adeguatamente all’interrogativo de quo, è utile osservare la questione dal punto di vista socratico. Il sostantivo femminile “interpretazione” consiste nell’applicare l’Esegesi e/o l’Ermeneutica a un determinato enunciato giuridico. Con il termine “Esegesi” si indica una interpretazione critica di un testo, al contrario, con il termine “Ermeneutica”, si indica l’interpretare dei testi non come l’Esegesi, e quindi, non col metodo critico ma bensì con il metodo filosofico cercando di comprendere lo spirito della legge (de Montesquieu 1989) che contiene il testo normativo.

Esistono diversi metodi per poter interpretare un testo normativo che si distinguono in base a chi applica l’interpretazione relativa, che sono (Guastini 2021):

  1. L’Interpretazione Autentica; Conosciuta anche come interpretazione legale consiste in una chiarezza rilasciata direttamente dal Legislatore che ha adottato la normativa de quo.
  2. L’Interpretazione Giudiziale; Questa interpretazione è realizzata dai Giudici nello svolgimento delle loro funzioni giudicanti, interpretando il testo normativo anche in base al contesto sociologico da applicare al caso concreto.
  3. L’Interpretazione Dottrinale; Gli studiosi del Diritto, ogniqualvolta che interpretano e studiano una fattispecie normativa, contribuiscono ad arricchire la scienza giuridica.

Queste tre categorie, per poter essere operate, richiedono un ulteriore adempimento riguardante il “modus operandi” dell’interpretazione, che possono essere:

  1. L’Interpretazione Letterale; L’Interpretazione Letterale riguarda l’Art. 12 delle Prel. Del Codice civile che disciplina la modalità, imponendo il divieto di attribuire altro significato se non quello palese del significato proprio delle parole, sia secondo la connessione di queste che secondo la volontà del Legislatore.
  2. L’Interpretazione Logica; L’Interpretazione Logica consiste nel ricercare la volontà del Legislatore, indagando anche su quegli elementi che sono esterni al contesto specifico, come potrebbe essere il momento storico-culturale e sociale di quando è stato emanato l’atto normativo.
  3. L’Interpretazione Sistematica; L’interpretazione Sistematica è più conosciuta come il “combinato disposto” che consiste nell’attuare un confronto con altre disposizioni normative e di estrapolarne il significato.

In relazione a quanto menzionato, vengono a crearsi degli effetti derivanti dall’interpretazione che sono tre:

  1. Interpretazione Dichiarativa; L’Interpretazione Dichiarativa è il risultato dell’Interpretazione Letterale con l’Interpretazione Logica. Consiste nel dichiarare un enunciato giuridico, un principio.
  2. Interpretazione Estensiva; L’Interpretazione Estensiva è il risultato derivante dall’Interpretazione Logica in correlazione alla normativa che amplia i contenuti del Principio ivi disciplinato.
  3. Interpretazione Restrittiva; L’Interpretazione Restrittiva è l’inverso opposto dell’Interpretazione Estensiva. Non si applica un’estensione al Principio ivi regolamentato, ma bensì una restrizione ai casi specificatamente previsti.

Analizzato brevemente la struttura del sostantivo femminile “Interpretazione” possiamo notare, ora, che, il Legislatore, nel prevedere e disciplinare la fattispecie de quo, abbia voluto attuare dei criteri complementari e interconnessi alla disciplina internazionale nelle vesti di “Trattati” e /o “Convenzioni”. Questi criteri sono principalmente tre e sono disciplinati dall’Art. 73 comma 3[63] del T.U.I.R. che dichiara che “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato. Si considerano altresì residenti nel territorio dello Stato gli organismi di investimento collettivo del risparmio istituiti in Italia e, salvo prova contraria, i trust e gli istituti aventi analogo contenuto istituiti in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 168-bis, in cui almeno uno dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari del trust siano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato. Si considerano, inoltre, residenti nel territorio dello Stato i trust istituiti in uno Stato diverso da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 168-bis, quando, successivamente alla loro costituzione, un soggetto residente nel territorio dello Stato effettui in favore del trust un’attribuzione che importi il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, nonché vincoli di destinazione sugli stessi”.

I criteri sono distinti e alternativi tra di loro, ovverosia, la “sede legale”, la “sede dell’amministrazione” e/o “l’oggetto principale” dell’attività realizzata. Questi criteri, congiuntamente ai criteri di cui all’art. 4 del modello OCSE e alla sentenza della Corte di Cassazione n. 136/1998[64] in cui essi individuano l’attività prevalente della Società come centro effettivo dei propri interessi, e quindi, ove la società interessata vive, opera e produce i propri affari in correlazione con i fini sociali individuati nello Statuto societario di cui al comma 4 ex. art. 73 del T.U.I.R.L’oggetto esclusivo o principale dell’ente residente è determinato in base alla legge, all’atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata. Per oggetto principale si intende l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto”.

In correlazione con il dettato normativo statunitense che offre, per sua natura giuridica, una doppia tutela ordinamentale, statale e federale, pur forzando il significato palese delle parole, le pratiche elusive attuate per non incombere nell’Esterovestizione e/o nell’Interposizione Fittizia, non sono del tutto idonee al raggiungimento dello scopo prefissato. Elemento primario che incide nell’interpretazione della noma giuridica è il bagaglio culturale dell’interprete, bagaglio che, in base a diversi criteri essenziali come il contesto sociologico e/o culturale, incidono sul significato finale delle singole parole.

Il Legislatore italiano ha adottato dei criteri rigidi e complementari, capaci di andare a colpire la pratica elusiva in qualsiasi momento individuando proprio la stabile organizzazione/sede amministrativa. Il Legislatore Federale e Statale Statunitense, hanno ampliato questi criteri arricchendoli grazie alla dualità federale.

§15. La “zona grigia” della Esterovestizione esiste davvero?

Lo scopo dello Studio è quello di poter comprendere se sussista o no una zona grigia riguardante l’Esterovestizione anche alla luce dell’Interposizione Fittizia e Reale, Reale Abusiva. La tecnica dello studio comparatistico permette di poter comprendere il complesso meccanismo in questione. In una prima istanza, il comma 5 e ss. ex art. 73 del T.U.I.R. colma una zona grigia per quanto riguarda le imprese che sono realmente operanti in Italia, includendovi anche le società e gli enti che non abbiano una effettiva residenza. Il successivo comma 5 – bis disciplina i criteri per le società controllate ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1, se, in alternativa:

a) sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato; b) sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

Infine, i commi 5-ter, 5-quaer e 5 quinquies permettono di poter individuare una società estera o italiana operante in Italia ma che abbia una propria residenza all’estero. Il criterio della sede legale, tuttavia, è considerato da questi commi come un criterio di pura formalità, è solo con il combinato disposto del criterio dell’amministrazione e dell’oggetto principale che si potrà individuare, in via definitiva, la natura economica e societaria nello Stato di effettiva residenza.

Quindi, ai fini della Esterovestizione, si considera la sede effettiva che la Società ha eletto all’estero per Statuto Societario e Atto Costitutivo, in correlazione con la concreta operatività dell’oggetto principale e amministrativo individuata in Italia come indicati nell’art. 73 del T.U.I.R.[65].

L’ordinamento italiano prevede l’inversione dell’onere probatorio. Spetta alla Società/Ente dimostrare che la residenza all’estero non è solo formale ma è anche sostanziale. Con la Circolare n. 28/E del 4 agosto 2006, al § 8[66], si dichiara che “(…) una presunzione legale relativa di localizzazione in Italia della sede della amministrazione, e quindi della residenza, di società ed enti, invertendo a loro carico l’onere della prova (…) viene individuata sulla base di tre criteri: la sede legale, la sede dell’amministrazione ed il luogo in cui è localizzato l’oggetto principale. Tali criteri sono alternativi ed è sufficiente che venga soddisfatto anche uno solo di essi perché il soggetto possa considerarsi residente ai fini fiscali nel territorio dello Stato (…) la sede legale si identifica con la sede sociale indicata nell’atto costitutivo o nello statuto e dà evidenza ad un elemento giuridico “formale”. Diversamente, la localizzazione dell’oggetto principale o l’esistenza della sede dell’amministrazione devono essere valutati in base ad elementi di effettività sostanziale e richiedono – talora – complessi accertamenti di fatto del reale rapporto della società o dell’ente con un determinato territorio, che può non corrispondere con quanto rappresentato nell’atto costitutivo o nello statuto”.

Si dovrà dare uno sguardo al criterio del “centro effettivo dei principali interessi” per quanto riguarda la sede internazionale “(…) In sede internazionale (…) i principi di effettività, richiamati nell’ordinamento domestico, ritenendo che la sede della “direzione effettiva” di un ente debba definirsi non soltanto come il luogo di svolgimento della sua prevalente attività direttiva e amministrativa, ma anche come il luogo ove è esercitata l’attività principale (…) Coerentemente con quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la risalente sentenza 22 gennaio 1958, n. 136, la sede effettiva della società deve considerarsi come “il luogo in cui la società svolge la sua prevalente attività direttiva ed amministrativa per l’esercizio dell’impresa, cioè il centro effettivo dei suoi interessi, dove la società vive ed opera, dove si trattano gli affari e dove i diversi fattori dell’impresa vengono organizzati e coordinati per l’esplicazione ed il raggiungimento dei fini sociali”.

Ci si domanda allora come il comma 5-bis dell’art. 73 del T.U.I.R. possa collocarsi in questo contesto; “(…) Essa consente all’Amministrazione finanziaria di presumere (“salvo prova contraria”) l’esistenza nel territorio dello Stato della sede dell’amministrazione di società ed enti che detengono direttamente partecipazioni di controllo in società di capitali ed enti commerciali residenti, quando, alternativamente:

a) sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’articolo 2359, primo comma del codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato; b) sono amministrati da un consiglio di amministrazione o altro organo di gestione equivalente, formato in prevalenza da consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

Gli elementi di collegamento con il territorio dello Stato individuati dalla norma sono astrattamente idonei a sorreggere la presunzione di esistenza nel territorio dello Stato della sede dell’amministrazione delle società in esame. Si tratta, infatti, di elementi già valorizzati nella esperienza interpretativa e applicativa, sia a livello internazionale che nazionale. Essi si ispirano sia a criteri di individuazione dell’effective place of management and control elaborati in sede OCSE, sia ad alcuni indirizzi giurisprudenziali.

La norma prevede, in definitiva, l’inversione, a carico del contribuente, dell’onere della prova, dotando l’ordinamento di uno strumento che solleva l’amministrazione finanziaria dalla necessità di provare l’effettiva sede dell’amministrazione di entità che presentano elementi di collegamento con il territorio dello Stato molteplici e significativi (…) In particolare, essa intende porre un freno al fenomeno delle cosiddette esterovestizioni, consistenti nella localizzazione della residenza fiscale delle società in Stati esteri al prevalente scopo di sottrarsi agli obblighi fiscali previsti dall’ordinamento di appartenenza; a tal fine la norma valorizza gli aspetti certi, concreti e sostanziali della fattispecie, in luogo di quelli formali, in conformità al principio della “substance over form” utilizzato in campo internazionale”.

La circolare fa il punto anche sui requisiti di applicabilità in quanto “(…) detengono partecipazioni di controllo, di diritto o di fatto ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, del codice civile, in società ed enti residenti; sono, a loro volta, controllati anche indirettamente ovvero amministrati da soggetti residenti. La norma è applicabile anche nelle ipotesi in cui tra i soggetti residenti controllanti e controllati si interpongano più sub-holding estere. La presunzione di residenza in Italia della società estera che direttamente controlla una società italiana, renderà operativa, infatti, la presunzione anche per la società estera inserita nell’anello immediatamente superiore della catena societaria; quest’ultima si troverà, infatti, a controllare direttamente la sub-holding estera, considerata residente in Italia (…) il presupposto per la sussistenza del controllo (dei soggetti residenti sull’entità estera e di questa su società e enti residenti) – e quindi della localizzazione in Italia della sede dell’amministrazione – dovrà valutarsi con riferimento alla data di chiusura dell’esercizio della entità controllata localizzata all’estero”.

La Circolare non esclude dal computo anche i “congiunti” dal controllo societario “(…) per le persone fisiche, devono essere computati anche i voti spettanti al coniuge, ai familiari entro il terzo grado ed agli affini entro il secondo”.

Ma quali sono gli effetti nascenti? La Circolare individua il quadro in riferimento alla normativa richiamata anche alla luce delle Holding e delle Sub-Holding portando un esempio per chiarire il concetto; “(…) il soggetto estero si considera, ad ogni effetto, residente nel territorio dello Stato e sarà quindi soggetto a tutti gli obblighi strumentali e sostanziali che l’ordinamento prevede per le società e gli enti residenti. A titolo esemplificativo, gli effetti di più immediato impatto per le sub-holding esterovestite riguarderanno i capital gain realizzati dalla cessione di partecipazioni da assoggettare al regime di imponibilità o di esenzione previsti dagli articoli 86 e 87 del T.U.I.R.; le ritenute da operare sui pagamenti di interessi dividendi e royalty corrisposti a non residenti o sui pagamenti di interessi e royalty corrisposti a soggetti residenti fuori del regime di impresa; il concorso al reddito in misura pari al 100 per cento del loro ammontare degli utili di partecipazione provenienti da società residenti in Stati o territori a fiscalità privilegiata. Al contrario, i predetti soggetti non dovranno subire ritenute sui flussi di dividendi, interessi e royalty in uscita dall’Italia e potranno scomputare in sede di dichiarazione annuale le ritenute eventualmente subite nel periodo di imposta per il quale sono da considerare residenti, anche se – ad inizio – operate a titolo di imposta”.

La Prova Contraria è di fondamentale importanza, è compito del Contribuente dimostrare con adeguati argomenti giuridici che, la propria sede societaria effettiva è situata all’estero e non in Italia nel caso dell’Interposizione, poiché, nell’Esterovestizione, abbiamo una fittizia collocazione di una Residenza Fiscale che in realtà non è mai avvenuta, il vantaggio economico così ottenuto, in termini di ricchezza, non esiste poiché non esiste un interposto.

La normativa vigente deve tuttavia rispecchiare alcune caratteristiche riguardante la compatibilità della fattispecie non solo a livello europeo ma anche a livello internazionale, e infatti, la Circolare menziona la coerenza della normativa vigente all’orientamento della Corte di Giustizia U.E. citando il precedente giudiziario Centros C-81787 che affermò il principio cardine secondo cui, gli Stati membri sono liberi nel determinare i criteri per individuare i collegamenti tra una Società e lo Stato.

Questo principio venne poi confermato nella causa C-208/00 che vide come protagonista una Società di diritto olandese ritenuta residente nel territorio germanico perché venne acquisita, mediante quote di maggioranza, dai dipendenti tedeschi.

In riferimento al principio del giusto processo, la prova contraria garantisce la valutazione case by case. L’applicazione di una valutazione case by case garantisce una corretta proporzionalità tra il fine perseguito dalla normativa vigente e la realtà concreta della fattispecie. I principi individuati non contrastano nemmeno nell’ambito delle Convenzioni stipulate dall’Italia con i vari Paesi, in riferimento alla libera scelta di determinare quali siano i criteri di collegamento soggettivo. Tali criteri si limitano solo a individuare quali siano gli elementi e le circostanze utili per attuare la disciplina riguardante la doppia imposizione, come il criterio dell’amministrazione effettiva.

La Circolare fa il punto sul collegamento con l’art. 167 T.U.I.R. “(…) la disposizione del nuovo comma 5-bis dell’art. 73 del T.U.I.R. può interferire sulla applicabilità del successivo articolo 167, nell’ipotesi in cui un soggetto residente controlli una società o un ente residente o localizzato in Stati o territori a fiscalità privilegiata che, a sua volta, detenga partecipazioni di controllo in società di capitali o enti commerciali residenti in Italia. È evidente che la presunzione di residenza nel territorio dello Stato dell’entità estera rende – in punto di principio – inoperante la disposizione dell’art. 167. Non sarà imputabile al soggetto controllante il reddito che la controllata stessa, in quanto residente, è tenuta a dichiarare in Italia. Qualora, tuttavia, sia fornita la prova contraria, atta a vincere la presunzione di residenza in Italia, la controllata non residente rimane attratta – ricorrendone le condizioni – alla disciplina dell’art. 167. In altri termini, il reddito della controllata estera non assoggettato a tassazione in Italia in dipendenza del suo – comprovato – status di società non residente resta imputabile per trasparenza al soggetto controllante ai sensi del citato art. 167. L’effettiva localizzazione della sede della amministrazione della controllata estera fuori del territorio dello Stato, e quindi la sua autonomia decisionale e di gestione, non escludono, infatti, che il suo reddito sia da considerare nella disponibilità economica del controllante residente”.

L’Agenzia delle Entrate, ulteriormente, con l’interpello n. 27/2022[67] ha chiarito una propria limitazione relativamente alla presunzione legale relativa, dichiarando che, l’Erario italiano, non può considerare una Società estera, automaticamente come una Società esterovestita se questa è controllata da una Società che è residente in Italia o se, l’organo amministrativo, non sia costituito dalle Persone Giuridiche con residenza italiana e/o dalle Persone Fisiche che non abbiano una residenza italiana.

Ulteriormente, questo chiarimento incide sull’onere probatorio; l’onere probatorio non ricade più sul convenuto ma bensì all’Erario italiano che dovrà dimostrare, in questo caso, una fittizia residenza all’estero della Società convenuta in correlazione con l’effettiva residenza italiana per poter ottenere un indebito vantaggio. Per non incombere nell’accusa dell’Esterovestizione/Interposizione Fittizia da parte dell’Erario, esistono dei criteri d’imputazione (Fontana e Caroli 2017) che sono individuati per l’Holding e che, complessivamente, individuano quegli elementi idonei a superare la presunzione relativa (Nadotti, Porzio e Previati 2022), che sono[68]:

  1. Holding Mista; La Società estera ha sì delle partecipazioni di controllo della Società, la sua principale attività in correlazione con le decisioni gestionali, non è svolta in Italia.
  2. Holding di Gestione; La Società estera offre contributi ausiliari di tipo finanziari alla controllata italiana, ma non interviene nell’attività principale della Società controllata.
  3. Holding Passiva; La Società de quo, soffre di una inidonea struttura organizzativa ai fini della verificabilità della localizzazione societaria. Questo tipo di Holding si contraddistingue dalle altre due per il semplice fatto di detenere delle partecipazioni societarie nelle Società residenti in Italia; la fornitura dell’elemento probatorio capace di sollevare la Holding dalle accuse della Esterovestizione non è agevole. Uno degli elementi probatori utili che potrà essere utile è sicuramente il Bilancio i cui viene inserito l’intero patrimonio mobiliare e immobiliare; l’indicazione di un minor valore del patrimonio mobiliare detenuto in Italia, potrà essere un primo indicatore che, l’investimento effettuato, è solo un investimento residuale.

Questi criteri d’imputazione, permettono l’individuazione di una Interposizione Reale Lecita tra quella Abusiva.

§16. Considerazioni finali

Nell’elaborazione si è dimostrato che, l’Esterovestizione e l’Interposizione Fittizia così come quella Reale e Reale Abusiva, non sono sinonimi. Nel primo caso, possiamo avere una simulazione riguardante la Residenza Fiscale fasullamente eletta in uno Stato estero, nel secondo caso, abbiamo un accordo elusivo che richiede, per poter essere attuato, la compartecipazione minima di tre soggetti contraenti, di cui uno ha la funzione di “presta nome” con la finalità ultima quella di eludere il regime fiscale. L’Interposizione Reale Lecita richiede anch’essa la compartecipazione minima di tre soggetti, ma gli effetti giuridici sono legalmente riconosciuti e realizzati ai sensi dell’ordinamento vigente in assenza di seconde finalità, diverso avviso è l’Interposizione Reale Abusiva che viene realizzata al fine di aggirare l’imposizione fiscale.

La bibliografia analizzata dimostra che, ai sensi dell’art. 2359 comma 1 del Codice civile, si considera come residente in Italia, – salvo prova contraria – quelle società/enti straniere che detengono un controllo della società/ente italiana anche se quest’ultime abbiamo un controllo di gestione, anche indiretto, da parte di quei soggetti che siano residenti in Italia o che abbiano un organo di gestione costituito prevalentemente da soggetti residenti in Italia.

Sono emerse tematiche il cui sviluppo è importante perché permettono di individuare quali siano i criteri d’imputazioni (che sono alternativi tra loro) in grado di poter incidere concretamente sull’individuazione della pratica di Esterovestizione/Interposizione Fittizia alla luce dei criteri riguardanti la doppia imposizione tra l’Italia e Stati Uniti d’America nella Convenzione stipulata a Washington il 25.08.1999, ratificata con la Legge n. 20 del 03.03.2009[69] dove, agli artt. 4 e 5 vengono disciplinate le caratteristiche della Residenza e della Stabile Organizzazione.

L’Art. 4 individua i criteri per poter determinare la residenza fiscale sia della Persona Fisica che Giuridica;

Articolo 4. Residenti;

  1. Ai fini della presente Convenzione, l’espressione «residente di uno Stato contraente» designa ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è assoggettata ad imposta nello stesso Stato, a motivo del suo domicilio, della sua residenza, della sede della sua direzione, del suo luogo di costituzione, o di ogni altro criterio di natura analoga, a condizione, tuttavia, che:
    (a) tale espressione non comprenda le persone che sono imponibili in questo Stato soltanto per il reddito ricavato da fonti situate in detto Stato; e
    (b) nel caso di redditi realizzati o pagati da una società di persone, da un patrimonio ereditario (estate) o da un’associazione commerciale (trust), tale espressione si applichi soltanto nei limiti in cui il reddito derivante da tale società di persone, patrimonio ereditario o associazione commerciale venga assoggettato ad imposizione in detto Stato, in capo a detti soggetti ovvero in capo ai loro soci o beneficiari.
  2. Quando, in base alle disposizioni del paragrafo 1, una persona fisica è considerata residente di entrambi gli Stati contraenti, la sua situazione è determinata nel seguente modo:
    (a) detta persona è considerata residente dello Stato contraente nel quale ha un’abitazione permanente; quando essa dispone di un’abitazione permanente in entrambi gli Stati, è considerata residente dello Stato nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette (centro degli interessi vitali);
    (b) se non si può determinare lo Stato nel quale detta persona ha il centro dei suoi interessi vitali, o se la medesima non ha un’abitazione permanente in alcuno degli Stati, essa è considerata residente dello Stato in cui soggiorna abitualmente;
    (c) se detta persona soggiorna abitualmente in entrambi gli Stati, ovvero non soggiorna abitualmente in alcuno di essi, essa è considerata residente dello Stato del quale ha la nazionalità:
    (d) se detta persona ha la nazionalità di entrambi gli Stati, o se non ha la nazionalità di alcuno di essi, le autorità competenti degli Stati contraenti risolvono la questione di comune accordo.
  3. Quando, in base alle disposizioni del paragrafo 1, una persona diversa da una persona fisica è considerata residente di entrambi gli Stati contraenti, le autorità competenti degli Stati contraenti faranno del loro meglio per risolvere la questione di comune accordo e per determinare le modalità di applicazione della Convenzione nei confronti di detta persona.

L’Art. 5 si occupa di individuare i criteri della Stabile Organizzazione;

Articolo 5. Stabile organizzazione;

  1. Ai fini della presente Convenzione, l’espressione «stabile organizzazione» designa una sede fissa di affari in cui l’impresa esercita in tutto o in parte la sua attività.
  2. L’espressione «stabile organizzazione» comprende in particolare:
    (a) una sede di direzione;
    (b) una succursale;
    (c) un ufficio;
    (d) una officina;
    (e) un laboratorio;
    (f) una miniera, una cava o altro luogo di estrazione di risorse naturali; e
    (g) un cantiere di costruzione o di montaggio la cui durata oltrepassa i dodici mesi.

In tema delle Imprese associate (art. 9), si effettua una prima distinzione definendo l’attività di Holding;

Articolo 9. Imprese associate;

  1. Allorché: a) un’impresa di uno Stato contraente partecipa direttamente o indirettamente. alla direzione, al controllo o al capitale di un’impresa dell’altro Stato contraente, o b) le medesime persone partecipano direttamente o indirettamente alla direzione, al controllo o al capitale di un’impresa di uno Stato contraente e di un’impresa dell’altro Stato contraente, e, nell’uno e nell’altro caso, le due imprese, nelle loro relazioni commerciali o finanziarie, sono vincolate da condizioni accettate o imposte, diverse da quelle che sarebbero state convenute tra imprese indipendenti, gli utili che in mancanza di tali condizioni sarebbero stati realizzati da una delle imprese, ma che a causa di dette condizioni non lo sono stati, possono essere inclusi negli utili di questa impresa e tassati in conseguenza.
  2. Allorché uno Stato contraente include tra gli utili di un’impresa di detto Stato — e di conseguenza assoggetta a tassazione — gli utili per i quali un’impresa dell’altro Stato contraente è stata sottoposta a tassazione in detto altro Stato, e gli utili così inclusi sono utili che sarebbero stati realizzati dall’impresa del primo Stato se le condizioni convenute tra le due imprese fossero state quelle che si sarebbero convenute tra imprese indipendenti, l’altro Stato procede ad un aggiustamento adeguato dell’ammontare dell’imposta prelevata su quegli utili. Per determinare tali aggiustamenti, si dovrà tenere conto delle altre disposizioni della presente Convenzione e, in ogni caso, essi dovranno effettuarsi unicamente in conformità alla procedura amichevole di cui all’articolo 25 (Procedura amichevole).

I criteri utili individuati per delineare i limiti della Esterovestizione tra una LLC e una S.r.l. ai fini del presente elaborato, sono i criteri stabiliti nella Convenzione stipulata a Washington il 25.08.1999, ratificata con la Legge n. 20 del 03.03.2009.

In conclusione, non si può affermare aprioristicamente la sussistenza dell’Esterovestizione e/o dell’Interposizione Fittizia, ovvero, l’Interposizione Reale o Reale Abusiva in quanto, il confine tra il lecito/illecito, dev’essere vagliato, per l’appunto, caso per caso ai sensi dei dettami legislativi della fattispecie in virtù della natura giuridica della LLC e della S.r.l. che sono direttamente assoggettabili al controllo da parte dell’Erario, italiano e/o statunitense, controllo che diventa più penetrante in caso di un’acquisizione/trasformazione di una Holding.

Il criterio cardine, pertanto, è quello della sede amministrativa – anche se non è un criterio effettivo – poiché è da essi che vengono assunte quelle decisioni che incidono sulla vita della Società grazie all’Organo di Amministrazione disciplinato e individuato dalla normativa vigente del proprio Stato di residenza.


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[16] Nicol v. Ames, 173 U.S. 509, 514–16 (1899); 3 Joseph Story, Commentaries on the Constitution of the United States 368–69 (1833); The Federalist No. 41 (James Madison) il 02/06/2023

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[17] Per tutti; Jump to essay-2License Tax Cases, 72 U.S. (5 Wall.) 462, 471 (1866); Jump to essay-3U.S. Const. art. I, § 9, cl. 5 il 02/06/2023.

[18] Knowlton contro Moore, 178 US 41 (1900); Nicol v. Ames, 173 U.S. 509, 514–16 (1899); 3 Joseph Story, Commentaries on the Constitution of the United States 368–69 (1833); The Federalist No. 41 (James Madison) il 02/06/2023

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[25]The term “person” is defined in 18 U.S.C. § 2510(6) to mean any individual person as well as natural and legal entities. It specifically includes United States and state agents. According to the legislative history, “(o)nly the governmental units themselves are excluded.” S.Rep. No. 1097, 90th Cong., 2d Sess. 90 (1968)”. In https://www.justice.gov/archives/jm/criminal-resource-manual-1048-definition-person – Data di accesso: 03/06/2023.

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[28] Cass. civ. n. 16697/2019; Cass. civ. n. 15184/2019; Cass. pen. n. 41683/2018; Cass. civ. n. 22939/2018

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[40]Le conduit companies sono società che non soddisfano i requisiti di beneficiario effettivo dei proventi che percepiscono, in quanto, li retrocedono ad altre società, al solo scopo di ottenere vantaggi fiscali altrimenti indebiti. Sono definite dall’OCSE come società, partnerships o trusts istituite in relazione alla realizzazione di un piano di treaty shopping. Si tratta di società finalizzate a sfruttare impropriamente determinati trattati fiscali, per poi incanalare i benefici così ottenuti verso soggetti residenti all’estero” così in https://fiscomania.com/dizionario/conduit-company/ – Data di accesso; 13/07/2023

[41] Cass. Civ. 1976 n. 2485.

[42] Così in Cosa si intende per esterovestizione?  Della Dott.ssa Rigato Cristina del 17/07/2021 – https://www.fiscoetasse.com/domande-e-risposte/12178-cosa-si-intende-per-esterovestizione.html – Data di accesso; 20/06/2023

[43] Così in https://www.studiocerbone.com/corte-cassazione-sentenza-n-15830-depositata-29-luglio-2016-la-disciplina-antielusiva-dellinterposizione-prevista-dallart-37-comma-3-del-d-p-r-29-09-1973-n-600-non-presuppone-necessa/ – Data di accesso; 24/06/2023

[44] Cass. n. 9108 del 2012; Cass. 19894 del 2005; Cass. sez u. 584 del 2008

[45] Punto 13 della Sentenza; Infatti e’ giurisprudenza costante di questa Corte che: “in tema di prova per presunzioni, il giudice, posto che deve esercitare la sua discrezionalita’ nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, e’ tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positivita’ parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, e’ doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimita’ la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento”.

[46] Agenzia delle Entrate – Risposta n. 164/2023 in https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/documents/20143/4913743/Risposta+n.+164_2023.pdf/95a90804-07a6-ab43-0bf8-6727cd334c3c#:~:text=La%20norma%20in%20esame%2C%20volta,dell’articolo%2073%20del%20TUIR – Data di accesso; 20/06/2023

[47] Sentenza del 23/10/2017 n. 108 – Comm. Trib. II grado di Trento – Sezione/Collegio 1; Sentenza del 23/03/2018 n. 1265 – Comm. Trib. Reg. per la Lombardia Sezione/Collegio 21; Sentenza del 27/10/2020 n. 784 – Comm. Trib. Reg. per le Marche Sezione/Collegio 4

[48] In Esterovestizione delle società: come evitarla di Federico Migliorini – venerdì 22 Luglio 2022 ore 19:36 in https://fiscomania.com/esterovestizione-societaria/ – Data di accesso; 20/06/2023

[49] Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo degli Stati Uniti d’America per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le frodi o le evasioni fi scali, con protocollo e verbale d’intesa, fatta a Washington il 25 agosto 1999, con scambio di note effettuato a Roma il 10 aprile 2006 e il 27 febbraio 2007 – Legge del 3 marzo 2009 n. 20 in https://www.finanze.gov.it/export/sites/finanze/.galleries/Documenti/Varie/USA_1999-Testo_G.U._ita.pdf – Data di accesso; 20/06/2023

[50]In general, U.S. income tax treaties define a U.S. permanent establishment to include a fixed place of business in the United States through which the foreign enterprise carries on its business. However, a foreign enterprise will not be deemed to have a U.S. permanent establishment if its activities in the United States are limited to certain activities –generally those of a preparatory or auxiliary nature. A separate IPS unit covers this exception. A foreign enterprise will also be considered to have a U.S. permanent establishment in respect of activities undertaken on its behalf by a dependent agent who has and habitually exercises in the United States an authority to conclude contracts that are binding on the foreign enterprise. A foreign enterprise will not be deemed to have a permanent establishment in the United States merely because it carries on business in the United States through a broker, general commission agent, or any other agent of an independent status, provided that such person is acting in the ordinary course of his business as an independent agent. A separate unit covers how to determine whether a U.S. permanent establishment is created through the activities of a dependent agent” – LB&I International Practice Service Transaction Unit – IRS in https://www.irs.gov/pub/int_practice_units/TRE9450_06_02.pdf – Data di accesso; 20/06/2023

[51] Così in Sentenza del 04/05/2021 n. 1407 – Comm. Trib. Reg. per la Calabria Sezione/Collegio 1 in https://def.finanze.it/DocTribFrontend/getGiurisprudenzaDetail.do?id={20EC671E-6B5A-4155-B41A-285BAC15D0E1}  – Data di accesso; 20/06/2023

[52]L’onere probatorio gravante, a norma dell’art. 2697 c.c., su chi intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi eccepisce la modifica o l’estinzione del diritto da altri vantato, non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto “fatti negativi”, in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, tanto più se l’applicazione di tale regola dia luogo ad un risultato coerente con quello derivante dal principio della riferibilità o vicinanza o disponibilità dei mezzi di prova, riconducibile all’art. 24 Cost. e al divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l’esercizio dell’azione in giudizio. Tuttavia, non essendo possibile la materiale dimostrazione di un fatto non avvenuto, la relativa prova può essere data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, o anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo” Cass. civ. n. 8018/2021

[53] In https://oklahoma.gov/ohca/providers/types/long-term-care-and-waiver-services/tax-equity-and-fiscal-responsibility-act.html#:~:text=The%20Tax%20Equity%20and%20Fiscal,if%20he%20or%20she%20qualifies. – Data di accesso; 20/06/2023.

[54] In https://www.irs.gov/businesses/small-businesses-self-employed/burden-of-proof#:~:text=Generally%2C%20taxpayers%20meet%20their%20burden,will%20support%20your%20own%20statement. – Data di accesso; 20/06/2023.

[55] Sentenza n. 1883/2023 Corte di Cassazione.

[56] In https://supreme.justia.com/cases/federal/us/293/465/ – Data di accesso; 21/06/2023

[57] In https://www.law.cornell.edu/uscode/text/26/482 – Data di accesso; 21/06/2023

[58] In https://www.irs.gov/businesses/corporations/foreign-account-tax-compliance-act-fatca – Data di accesso; 21/06/2023

[59] In https://supreme.justia.com/cases/federal/us/293/465/ – Data di accesso; 21/06/2023

[60] In https://www.law.cornell.edu/uscode/text/26/subtitle-A/chapter-1/subchapter-N/part-III/subpart-F – Data di accesso; 21/06/2023

[61] Appleby v. Comm’r of Internal Revenue, 48 T.C. 330 (U.S.T.C. 1967) in https://casetext.com/case/appleby-v-commr-of-internal-revenue-1/ – Data di accesso; 21/06/2023

[62] Deming, Frank S. “The Business Purpose Doctrine in Corporate Recapitalization.” University of Pennsylvania Law Review 100, no. 7 (1952): 1025–44. https://doi.org/10.2307/3310104.

[63] https://def.finanze.it/DocTribFrontend/getArticoloDetailFromResultList.do?id={C5F8FA42-91AE-4D29-AFBF-9EC33E15CD6B}&codiceOrdinamento=200007300000000&idAttoNormativo={31D694E8-4398-4030-873B-FEAF5A6647F9} – Data di accesso; 28/06/2023

[64] Così in https://fiscomania.com/esterovestizione-societaria/

[65]In tema di imposte sui redditi, ricorre l’ipotesi di esterovestizione allorché una società, la quale ha nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione, da intendersi come luogo in cui si svolge in concreto la direzione e gestione dell’attività di impresa e dal quale promanano le relative decisioni, localizzi la propria residenza fiscale all’estero al solo fine di fruire di una legislazione tributaria più vantaggiosa” – Cass. civ. n. 16697/2019.

[66] https://def.finanze.it/DocTribFrontend/getPrassiDetail.do?id={A9B1CCE3-3C97-48B8-8E63-01EFD99C0A1A} – Data di accesso; 28/06/2023

[67] https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/documents/20143/4081309/Risposta_27_17.01.2022.pdf/07bce850-0872-5c04-295e-c83df39248a1 – Data di accesso; 29/06/2023

[68] https://fiscomania.com/esterovestizione-societaria/#come-superare-la-presunzione-di-residenza-in-italia-della-societa-estera – Data di accesso; 29/06/2023

[69] https://www.finanze.gov.it/export/sites/finanze/.galleries/Documenti/Varie/USA_1999-Testo_G.U._ita.pdf – Data di accesso; 29/06/2023

Alessio Barpi è un giurista specializzato nel diritto penale, civile e finanziario d'impresa, con particolare attenzione alla compliance aziendale e alla responsabilità penale degli enti (D.Lgs. 231/2001).
Ha conseguito una doppia laurea presso l'Università degli Studi di Genova in Servizi Legali per l'Impresa e la Pubblica Amministrazione e in Giurisprudenza.
Ha inoltre completato percorsi di perfezionamento in Responsabilità Penale degli Enti e Diritto Penale Tributario, con un focus specifico sul diritto commerciale, societario e finanziario.
La sua carriera professionale si concentra sull'integrazione delle competenze giuridiche con una solida comprensione delle dinamiche aziendali, offrendo consulenza in ambito legale e finanziario per le imprese.

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